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"L'Italia farà la sua parte". Noi no
Le immagini di Manhattan in fiamme ci hanno riportato alla mente i bombardamenti
di Bagdhad o di Belgrado. Alla rabbia impotente di allora è subentrata
l'incredulità nel vedere abbattuti i "simboli" della superpotenza
che da mezzo secolo semina distruzioni e morte in molte parti del mondo.
Ma dietro la distruzione dei simboli c'è quella orribile di
migliaia di vite umane: "è sempre il popolo", ha scritto giustamente
Eduardo Galeano, "a metterci i morti". Non può essere che totale
la solidarietà con le vittime e la condanna, politica oltre che
morale, di chiunque usi cinicamente l'assassinio di lavoratori e lavoratrici,
bambine e bambini - siano essi statunitensi o iracheni -, per inviare deliranti
messaggi di "potenza".
SCONTRO DI CIVILITÀ?
Qualcuno ha voluto vedere in questi attentati quello che Samuel Huntington
definì clash of civilization, "scontro di civilità, di culture".
Questo è quanto si vuol farci credere.
Pensiamo invece che la strage di New York e di Washington esprima la
stessa "civiltà" cui sembra contrapporsi, nonostante l'uso dei kamikaze
anziché di soldati programmati per uccidere a costo (occidentale)
zero. Questi attentati sono "speculari" ai bombardamenti da 10.000 metri
di altezza su città indifese, agli embarghi che causano milioni
di vittime innocenti, alle politiche economiche che moltiplicano la disperazione
nel mondo. E sono analoghi alle tante azioni terroristiche firmate dalla
Cia, di cui sono creature anche i Bin Laden. Fanno parte della stessa violenza
"globale", da cui più nessuno può dirsi sicuro, e che niente
può giustificare.
Se non vale, per nobilitare una carneficina di cittadini inermi, invocare
i crimini del loro governo, non vale, per giustificare stragi ancora più
spaventose, rinominarle "operazioni di polizia" o "umanitarie", farle vistare
dall'Onu e dalla Nato o inventarsi, come in questo caso, un improbabile
"stato di guerra". Ciò serve per sostituire alla ricerca rigorosa
e alla punizione dei veri responsabili una indiscriminata rappresaglia
(termine e pratica care ai nazisti), che coinvolga anche gli Alleati. Ma
non può certo rendere tali azioni meno criminali di quelle dei terroristi
o meno apportatrici delle ingiustizie e della disperazione che sono il
terreno di coltura del terrorismo, lo aiutano nel reclutamento e possono
procurargli consensi.
L'IPOCRISIA DELL'OCCIDENTE
Enzo Mauro descrive la democrazia occidentale come una cittadella assediata
di "cittadini inermi […] che si considera in pace, riconosce i diritti
degli altri, rispetta i valori della civile convivenza" ("La Repubblica").
Ma la democrazia occidentale non riconosce il diritto alla vita degli iracheni,
sfrutta il lavoro schiavile nelle imprese delocalizzate, nega ai palestinesi
uno stato, ai kurdi i diritti umani, agli immigrati accoglienza. E l'immagine
di "cittadini inermi", usata per "mobilitare" contro il terrorismo, mal
si accorda con quella esibita davanti ai popoli aggrediti. Mentre i bombardieri
Usa "illuminavano" Bagdhad, Ernesto Balducci scriveva: "Ora l'immensa comunità
araba vede ad occhi nudi lo splendore terrificante dell'Occidente… e rischia
di imboccare le vie minacciose del fondamentalismo."
Prodi si dichiara "inorridito", Berlusconi definisce i terroristi "mostruosi
criminali", Ciampi mette il lutto. Ma perché questi signori non
hanno avuto orrore di loro stessi e dei loro "mostruosi crimini" quando
partecipavano o ancora partecipano, come capi di governo, all'uccisione
di decine di migliaia di iracheni tramite l'embargo?
Madelaine Albright ha risposto per tutti. A un intervistatore che gli
chiedeva se era giusto uccidere 500.000 bambini per colpire Saddam, rispose
che si, era "un prezzo da pagare". Sia per i G8 che per i terroristi "islamici"
i morti sono "effetti collaterali" e "contingente necessità" nella
"lotta del Bene contro il Male" - come l'hanno definita Bin Laden e Bush.
"A New York", ha scritto Antonio Polito, "è stato perpetrato
uno sterminio di massa e indiscriminato di uomini e donne colpevoli solo
di essere americani" ("La Repubblica"). Ma di cosa erano colpevoli, se
non di essere palestinesi, sudanesi, iracheni, serbi, e domani afghani,
le centinaia di migliaia di esseri umani uccisi dai bombardamenti Usa/Nato
o dalle milizie di Saharon?
CHI SONO I TERRORISTI
La "distanza assoluta" dell'Occidente dalla pratica del terrore è
una favola ipocrita, usata per arruolarci contro l'Islam o contro il Sud
del mondo.
Non per questo cadremo nell'errore di assegnare una qualsiasi valenza
positiva agli attentati contro le Torri Gemelle. Si tratta non solo di
un massacro esecrabile ma funzionale a un disegno reazionario, come lasciano
intendere i suoi probabili autori e i suoi prevedibili effetti.
Solo pochi gruppi e alcuni servizi segreti potevano realizzare attentati
così "sofisticati" e diversi da quelli purtroppo consueti in vari
conflitti. Sembra probabile che i responsabili siano i fondamentalisti
islamici facenti capo a Bin Laden e ai talebani, anche se la cosa non può
dirsi certa. Ma il giudizio politico non cambia se fossero coinvolti invece
(o anche) i servizi segreti di Israele, efficienti e interessati a demonizzare
il mondo arabo, o quelli di altri stati; la destra fondamentalista statunitense,
responsabile della strage di Oklaoma city; ambienti e settori dei servizi
segreti Usa, che potrebbero aver "lasciato fare" per poi cogliere i frutti
- vista la loro totale disinformazione prima e la rapidità con cui
hanno "sfornato", subito dopo, liste di attentatori doc.
Si tratta comunque di forze estranee a ogni movimento di massa e a
ogni obiettivo di trasformazione sociale, che hanno in comune la cultura
del golpe, delle lapidazioni e dei linciaggi. E non per caso il risultato
delle loro azioni è stato di favorire quanti intendono legittimare,
col "nemico islamico", politiche di dominio, di militarizzazione e di cancellazione
del conflitto sociale.
A CHI GIOVA?
Come primo effetto questi attentati hanno compattato l'Occidente. Un
movimento antiliberista in ascesa, che almeno da due anni si andava sviluppando,
coinvolgendo anche settori sindacali, negli Stati Uniti e in Europa, rischia
di essere rigettato sulla difensiva. La proclamazione dello "stato di guerra"
favorisce la sua criminalizzazione, iniziata a Genova; permette di additare
in ogni forma di dissenso il "nemico interno" colluso con i terroristi
e in ogni migrante, specie se arabo, una spia; dà pretesto allo
scatenamento di umori xenofobi come sta avvenendo.
Il fastidio per l'unilateralismo Usa, e le contraddizioni con l'Europa,
in aumento dopo l'avvento di Bush, vengono accantonate - in nome della
difesa contro il comune nemico - insieme alle riserve verso lo scudo stellare:
del tutto inutile contro questo tipo di attentati, come ripetono gli esperti,
ma che si può cercare di far passare sull'onda dell'emozione popolare,
subito cavalcata da Berlusconi.
La "minaccia islamica" restituisce finalmente alla Nato, dopo la caduta
del muro, un "nemico" non occasionale ma stabile e di lunga durata. Lo
sottolinea l'appello all'art. 5, privo di ogni utilità pratica ma
che serve a creare il clima per la mobilitazione generale nella "lunga
guerra". E mette ancor più nell'angolo i palestinesi, costretti
a ripetuti giuramenti di fedeltà agli Usa, restituendo a Israele
il suo ruolo di avamposto della civiltà fra gli infedeli.
Che la demonizzazione dell'Islam possa avere conseguenze laceranti
per la comunità umana e che l'estendersi della guerra non estirpi
il terrorismo, ma rischi di farne una risposta sempre più diffusa
e "legittimata" da nuove stragi dell'Occidente, non preoccupa Bush, al
di là di qualche ipocrita rassicurazione volta a cooptare nella
colazione alcuni paesi islamici. L'obiettivo suo e dei poteri forti, col
pretesto di "catturare" Bin Laden, è mettere sotto il diretto controllo
Usa, per di più con l'appoggio estorto a Russia ed Europa, un'area
strategica come l'Asia centrale, che finora avevano cercato di sottrarre
loro utilizzando proprio quei fondamentalisti islamici oggi diventati inaffidabili.
DISERTARE LA GUERRA DI BUSH
Tornano così a soffiare venti di guerra. Tornano le dolenti
teorie dei profughi in fuga da un incendio che potrebbe investire oltre
all'Afghanisan l'Iraq: immagini di miseria, presto di morte, date in pasto
ai telespettatori per "risarcire" il Grande Moloch del suo orgoglio ferito.
E l'Italia? Farà la sua parte, proclama Ciampi e ripetono i
ciambellani di corte.
Noi questa parte non la faremo.
Non "sceglieremo" fra i terroristi e Bush. Non perché siamo
neutrali fra i due ma perché siamo contro entrambi. Perché
chiediamo che siano individuati e giudicati i veri responsabili degli attentati
odierni - ma anche dell'embargo all'Iraq, della guerra del Golfo e del
Kosovo. Perché crediamo, con i pacifisti newyorkesi e con le donne
afghane, che si debba dire "No" al terrorismo e alla guerra.
Noi continueremo a fare la nostra parte per costruire un mondo dove
non si globalizzino il dominio e la violenza ma i diritti, si cancelli
l'embargo all'Iraq, si rispettino i diritti degli afghani, dei kurdi, dei
palestinesi, dei migranti oggi minacciati dalla legge razzista Bossi -Fini.
E chiederemo nelle piazze, ai lavoratori e alle lavoratrici, ai giovani,
di disertare la guerra di Bush.
Walter Peruzzi
GUERRE&PACE
via Pichi, 1 - Milano
tel 0289422081; fax 0289425770
guerrepace@mclink.it
Guerre&Pace n.83/ottobre 2001
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